mercoledì 22 aprile 2015

Quel disagio silenzioso…Ovvero, un silenzio pieno di disagio

Una considerazione sul Tema del XXV Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana di Uro-Ginecologia

Finalmente un velo che si squarcia, come emblematicamente ci viene riportato alla mente dalle suggestive immagini della narrazione evangelica. Lì si trattava di un “velo del Tempio”; qui, invece, è il velo di un silenzio atavico, millenario, nel quale le donne sono stabilmente avvolte.
Ed è un silenzio a più voci, se si intuisce la metafora. È il silenzio personale, di ogni donna, che ha paura o difficoltà a manifestare un disagio intimo, qualunque esso sia (dolore vulvare, incontinenza, insensibilità, prolassi, “fastidi”): attirare l’attenzione sull’area dei genitali, su di una sfera che è intimamente legata alla propria natura femminile e alla propria identità di donna, non è del tutto agevole. Meglio tacere.
È il silenzio di tutte le donne, un ambito nel quale da secoli sono state relegate per questione di “genere”, talvolta senza alcuna reale violenza culturale ma solo per il fatto che
si fa così e basta.
È il silenzio degli uomini, incapaci di un ascolto reale, che significa apertura all’alterità, a ciò che è “altro da sé”.
È il silenzio dell’impostazione culturale e scientifica, che pretende di categorizzare e di inquadrare lo scenario clinico entro schemi rigidi e scolasticamente netti senza tener conto che, nel mondo reale, molti aspetti necessitano di “contaminazioni di genere” per poter essere effettivamente compresi nella loro complessità.

La patologia dell’area uro-genitale femminile (e maschile!) è uno scoglio culturale in primo luogo per gli operatori del settore. Molto facilmente il medico specialista, sia esso ginecologo o urologo, trova più immediato (forse più semplice) collocare la questione che si presenta di volta in volta come questa o quella specifica malattia e, se può, le attribuisce un grado secondo uno “score” ben definito. Nulla da eccepire sul piano formale, si direbbe. Tutto secondo quei criteri di scientificità universalmente accettati, nel rispetto delle regole, con i criteri della riproducibilità e del controllo aritmetico o statistico dei dati.
Eppure…
Laddove il medico vede un prolasso una donna vede un “qualcosa che mi esce dalla vagina, un ingombro e una cosa estranea a se stessa”; laddove un medico vede una incontinenza urinaria una donna vede “il dover uscire sempre con un assorbente, un pannolone, una puzza di urina, un doversene restare in casa, un dover negare la propria femminilità per inadeguatezza”; laddove un medico vede una infezione urinaria ricorrente una donna vede “un tormento che si ripresenta di continuo, quando non te l’aspetti, quando non puoi farci niente e sei avvilita per non poter mangiare o bere o fare qualsiasi cosa che tanto ti arriva quella cistite”; laddove un medico vede un fastidioso dolorino ai genitali una donna vede “un tormento che ti affligge notte e giorno, che non dà tragua, che non ti fa vestire con un jeas, che non ti fa andare in bici, che non ti fa fare l’amore, che ti fa sentire un’isterica per tutti gli altri”; laddove un medico può non vedere assolutamente nulla di preciso, una persona può avere un mondo silenziosamente nascosto.
Approcciarsi ai disagi dell’area pelvi-perineale, e a quanto si potrebbe definire “Pelvic Discomfort” piuttosto che “disease”, equivale ad una rivoluzione copernicana. Esattamente così: riuscire a passare da una visione del mondo incentrata sulla Terra (Geocentrica) ad una più veritiera visione del sistema planetario, per l’appunto centrata sul Sole (Eliocentrica), è la stessa rivoluzionaria trasformazione alla quale il cammino dell’osservazione clinica e del continuo rimettersi in discussione ci deve indurre. Passare, cioè, da una visione di «apparato ammalato», ad una più corretta interpretazione di «sistema multicompartimentale disfunzionale». Vale a dire, che non possiamo più approcciare i disturbi legati alla incontinenza urinaria femminile, al dolore pelvico cronico, alla vulvodinia, alla vestibolopatia, ai prolassi degli organi pelvici, alle cistiti ricorrenti, e ad altri quadri patologici, osservando e trattando i singoli apparati come entità a se stanti. Il sistema funziona bene se “tutte” le sue componenti funzionano di concerto. Lo sappiamo bene da tempo: la dinamica intestinale è essenziale se vogliamo comprendere bene i disturbi minzionali; o ancora, l’assetto ormonale è alla base non solo di patologie ginecologiche ma anche di alcune alterazioni urinarie, e così via. Allora perché non imparare ad approcciarsi coerentemente alla “Paziente affetta da disagio pelvi-perineale” acquisendo nel proprio bagaglio formativo e clinico quelle competenze che ci aiutano a meglio interpretare il soggetto che ci chiede un intervento medico?
Perché, in fondo, pensandoci bene, a noi medici specialisti della disciplina uro-ginecologica è solo questo che ci viene richiesto: fornire un concreto aiuto nel superare un disagio diventato oramai “vitale” per chi ne è portatrice. Non ci viene richiesto solo un parere su quale tecnica chirurgica dà la migliore percentuale di riuscita; non è più sufficiente rispondere con un antibiotico o una crema ormonale ad hoc se ci viene posto di fronte un disagio estremo dell’area genitale. Ci viene chiesto di comprendere, di interpretare e, sostanzialmente, di fornire un contributo scientificamente corretto ma ricco anche di “multimodalità”, così come multiple sono le interazioni nell’area pelvi-perineo-genitale.
Occorre, perciò, che il silenzio cognitivo (piccolo o grande) che è parte inevitabile del proprio bagaglio formativo, ceda il posto a quelle competenze che pian piano ogni specialista di questo ambito dovrebbe acquisire.
Competenze posturologiche, urodinamiche, coloproctologiche, ginecologiche, comportamentali, endocrinologiche, neurofunzionali, dismetaboliche, farmacologiche, fisioterapiche, manipolative… e di counseling!
E tutto ciò non significa di certo diventare “Tuttologi”, ovviamente! È esattamente il contrario: cioè, tenere ben presente tutta questa complessità nella fase di approccio ad una «Persona» che manifesta «un disagio» indicativo di una «molteplicità di aspetti».
Ascoltare il silenzio, dunque. Una pratica difficilissima.
Forse la più nuova ed entusiasmante delle sfide mediche per il terzo millennio.

Massimo Felice Nisticò
Urologo-Urodinamista-Uroriabilitatore-Uroginecologo

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