giovedì 15 maggio 2014

Le ernie della parete addominale:

una patologia comune


Le ernie della parete addominale rappresentano la patologia chirurgica a maggior incidenza nella popolazione mondiale (circa 4-5%), sono più frequenti nel sesso maschile, possono essere bilaterali (circa 15%), e la loro frequenza aumenta con l’età.
Si sviluppano in quelli che potremmo definire i punti deboli della cavità addominale, ovvero la regione inguinale e l’ombelico.

Con il termine di “ernia” si intende la fuoriuscita di un viscere dalla cavità che normalmente lo contiene, attraverso un orifizio, o una zona meno resistente della parete. Di fatto, l’ernia si compone di tre parti: la porta erniaria (comunemente il passaggio da cui l’ernia fuoriesce), il sacco (l’involucro che contiene i visceri erniati) ed il contenuto erniario. Si possono classificare in molti modi, a seconda se siano riducibili (il contenuto rientra più o meno facilmente all’interno della cavità che normalmente lo contiene), o irriducibili (che viceversa non riescono a ritornare al proprio posto), congenite (dovute a difetti anatomici già presenti alla nascita) o acquisite (dovute a difetti acquisiti dall’individuo nel tempo), o a seconda della sede anatomiche da cui fuoriescono (addominali, perineali, ecc…).


Affinché si sviluppi un’ernia è necessario che ci sia una condizione predisponente ed una scatenante. Per condizioni predisponenti si intende la presenza di una alterazione anatomica congenita o di un assottigliamento della parete muscolare a causa dell’età, del fumo di sigaretta, di una gravidanza, di stati di malnutrizione, di una eccessiva magrezza, o dell’età avanzata. Cause scatenanti l’ernia sono tutte quelle condizioni in cui si verifica un aumento della pressione endo-addominale, come ad esempio l’ascite (per la presenza di liquido all’interno della cavità addominale), la bronchite cronica (per i continui colpi di tosse), la stipsi cronica, l'obesità, o gli sforzi fisici ripetuti o eccessivi.

La sintomatologia delle ernie addominali è estremamente variabile: in molti casi il paziente nota solo la presenza di una tumefazione più o meno voluminosa, in altri casi avverte dolore, più o meno intenso, senso di peso, ingombro nel movimento. Si può avere un dolore costantemente presente ma acuito da comuni sforzi fisici e posizione eretta prolungata, oppure episodi ripetuti di dolore che regrediscono spontaneamente o in posizione sdraiata. Il dolore può essere spia di un’ernia complicata, che rappresenta una vera e propria urgenza chirurgica.

La sintomatologia dell’ernia si aggrava notevolmente nel caso di insorgenza di complicazioni. Una delle complicanze più frequenti è l’infiammazione, dovuta a traumi violenti o ripetuti (come quelli dovuti al cinto) e che comporta la formazione di aderenze tra i visceri erniati, la parete del sacco e le strutture circostanti. Questo porta alla irriducibilità. Quando l’ernia non è più riducibile e contiene una parte dell’intestino, può avvenire un “intasamento” che può interrompere la progressione delle feci e dare occlusione intestinale. Questa complicanza richiede un intervento immediato al fine di risolvere l’ostruzione. La complicanza più temibile è tuttavia lo strozzamento, che si verifica quando improvvisamente la porta erniaria si riduce ed impedisce, non solo lo spontaneo ritorno del contenuto erniario all’interno, ma anche una compressione dei vasi arteriosi e venosi con gravissime ripercussioni sulla vascolarizzazione dell’organo; si possono in tal caso verificare necrosi ischemica dell’ansa intestinale con conseguente perforazione intestinale e peritonite.

Al fine di evitare complicanze, è indispensabile porre una diagnosi precoce. La diagnosi dell’ernia inguinale è principalmente clinica e si basa su una anamnesi approfondita (storia clinica del paziente, modalità di insorgenza della sintomatologia dolorosa e della tumefazione inguinale, eventuali modificazioni dell’alvo) e su un accurato esame obiettivo (è sufficiente palpare il canale inguinale alla ricerca della porta erniaria chiedendo al paziente di eseguire alcuni colpi di tosse), al fine di individuare l’ernia e definirne le caratteristiche come tipologia, dimensione, riducibilità, sede, eventuale bilateralità e presenza di eventuali altri difetti parietali associati. Solo raramente è necessario ricorrere all’esecuzione di esami strumentali, come ecografia addome o risonanza magnetica, come ad esempio ernie molto piccole o pazienti obesi.
In questo modo sarà dunque possibile porre eventuale indicazione al trattamento chirurgico e definirne il grado di urgenza.

L’ernia declinata al maschile

L’ernia inguinale è una patologia che colpisce prevalentemente il sesso maschile. Il rapporto uomo/donna è di circa 8:1.

La ragione della sproporzione è attribuibile con tutta probabilità alla diversa conformazione anatomica. In un feto di sesso maschile, infatti, il funicolo spermatico e i due testicoli, partendo da una posizione intra-addominale, scendono attraverso il canale inguinale nello scroto, la sacca che conterrà i testicoli. A volte l’ingresso del canale inguinale non si chiude correttamente, lasciando una porzione di tessuto particolarmente debole nella parete addominale. Parti di intestino tenue scivolano attraverso la debolezza all’interno del canale inguinale e quindi si forma un’ernia.

L’ernia ombelicale

La seconda ernia più frequente è quella ombelicale. Si tratta, in questo caso, di un rigonfiamento che compare a livello dell’ombelico, che diviene sporgente, a volte con un dolore o senso di fastidio.

È una condizione particolarmente frequente nei neonati e nei bambini e, in questo caso, è quasi sempre congenita e dipende da un difetto di chiusura della parete addominale dopo la caduta del cordone ombelicale. In genere regredisce spontaneamente entro i 12-18 mesi di vita.

Nell’adulto, l’ernia ombelicale dipende, invece, dall’aumento della pressione intra-addominale, che a sua volta può essere causato da obesità, da gravidanza o da alcune patologie (cirrosi, tumori).

Il trattamento

L’unico trattamento per le ernie è l’intervento chirurgico finalizzato alla riduzione del contenuto erniato e al rafforzamento della parete in cui l’ernia si è fatta strada.

In passato, l’intervento chirurgico veniva eseguito in regime di ricovero ospedaliero, ossia il paziente veniva ricoverato in un reparto di chirurgia, sottoposto ad anestesia generale e ad un intervento chirurgico che consisteva nel riportare il contenuto erniato all’interno della cavità di origine e nel “ricucire” le strutture muscolari sovrastanti. Molti pazienti manifestavano un fastidioso e persistente senso di “tensione” dovuto ai punti applicati per rafforzare la parete addominale.

A differenza del passato, oggi il trattamento chirurgico consiste in un intervento relativamente semplice e veloce, eseguito in regime ambulatoriale. Questo è possibile grazie all’utilizzo di un’anestesia locale che elimina le sensazioni dolorose e mantiene solamente le sensazioni tattili. L’intervento prende il nome di “ernioplastica”. Viene praticata un’incisione sulla sede dell’ernia; l’ernia viene fatta rientrare nella sua sede addominale e l’area muscolare indebolita viene rinforzata con una protesi, ossia una rete di fibre sintetiche. Esistono varie tecniche chirurgiche e vari tipi di protesi, che vengono scelti secondo le caratteristiche del paziente e dell’ernia.

In presenza di ernie complesse, di ernie inguinali bilaterali, di recidive, o di laparoceli (ernie risultanti dal cedimento di cicatrici post-operatorie) si può fare ricorso alla laparoscopia, ossia ad un intervento in anestesia generale che prevede il posizionamento della protesi in una sede più profonda, sempre con l’intento di riparare e rinforzare la parete addominale.

Le tecniche oggi impiegate sono tension free, ossia non comportano uno stiramento dei muscoli addominali; questo dettaglio tecnico, insieme all’uso delle protesi, ha decisamente abbattuto l’incidenza delle recidive.

Se eseguito da mani esperte, in strutture specializzate, l’intervento di ernioplastica comporta una bassissima incidenza di problemi post-operatori.

Le complicanze chirurgiche si distinguono in intraoperatorie, precoci e tardive. Le complicanze intraoperatorie sono fondamentalmente il sanguinamento e, solamente nell’uomo, la sezione del dotto deferente, ossia del condotto che trasporta gli spermatozoi dai testicoli al pene. Tra le complicanze precoci, l’infiammazione è quella più frequente e determina la comparsa di una tumefazione di consistenza dura a livello della cicatrice chirurgica che regredisce spontaneamente in circa 30 giorni e che solo raramente richiede l’utilizzo di farmaci antinfiammatori applicati localmente o assunti per bocca. Altre complicanze precoci, ma ormai assai rare, sono il sanguinamento, che necessita di medicazioni e controllo chirurgico ambulatoriale, l’infezione di ferita, che necessita di controlli ambulatoriali ed eventuale antibioticoterapia, e la formazione di raccolte di siero (sieromi), priva di significato patologico, che tende alla risoluzione spontanea o al massimo può richiedere agoaspirazione.
Le complicanze tardive, ossia quelle che insorgono a distanza di mesi dall’intervento, sono essenzialmente di due tipi, e cioè la recidiva erniaria e la nevralgia inguinale postoperatoria. Il rischio di recidiva erniaria si è drasticamente ridotto dopo l’introduzione dei materiali protesi ed oggi è intorno al 4%. Il dolore inguinale cronico postoperatorio è una condizione debilitante che persiste o si manifesta dopo 3-6 mesi dall’intervento e comporta notevoli limitazione nell’attività lavorativa e nelle comuni attività quotidiane dei pazienti che ne sono affetti. L’incidenza del dolore cronico inguinale postoperatorio è riportata in letteratura in modo estremamente variabile a seconda del centro interessato e mediamente è del 12-35%. Altrettanto poco uniforme è il tipo di trattamento proposto e la valutazione della sua efficacia, mancando nella maggior parte dei casi un follow-up a lungo termine dei pazienti ed una valutazione oggettiva del dolore a distanza e delle sue conseguenze sulla qualità di vita dei pazienti, e pertanto diverse sono le strategie di cura proposte, che comunque sono prima mediche e dopo chirurgiche.

Al fine di prevenire le complicanze, nei giorni seguenti l’intervento, è consigliabile l’assunzione di uno stile di vita tranquillo ma non sedentario; il camminare aiuta infatti la protesi ad assumere la corretta posizione. È invece assolutamente vietato lo svolgimento di attività fisica intensa (palestra, corsa, sollevamento borse della spesa, eccetera).

Nel giro di pochi giorni, dunque, è possibile tornare alle proprie attività quotidiane e a praticare sport.

Un percorso clinico specifico

Molti ospedali hanno recentemente messo a punto una organizzazione specifica per gli interventi di ernioplastica addominale in regime S.S.N., ottimizzando l’iter diagnostico e fornendo una valutazione personalizzata della necessità ed urgenza dell’intervento; un corretto inquadramento diagnostico consente di semplificare il percorso per il paziente, con una riduzione dei tempi di attesa, e di programmare l’intervento chirurgico più adeguato per ogni caso. Dopo l’intervento chirurgico, che dura mediamente un’ora, il paziente viene seguito dal personale medico e infermieristico nelle strutture del complesso di Day Surgery (appositamente concepito), dove viene fatto rivestire, gli viene offerta una merenda e dove viene invitato a camminare, infine, nel giro di poche ore, viene dimesso.

Consiglio dell’esperto

Le ernie addominali se particolarmente voluminose o sintomatiche o presenti da molto tempo possono richiedere un intervento chirurgico più complesso e gravoso per l’organismo. Si raccomanda, dunque, un rapido ricorso allo specialista chirurgo in presenza di sintomi e comunque per una corretta valutazione del quadro clinico.


Autori

Rossana Alloni
Professoressa Associata Chirurgia Generale
Responsabile di Unità Operativa di Chirurgia Degenza Breve
Università Campus Bio-Medico di Roma
r.alloni@unicampus.it


Paolo Luffarelli
Specializzando Chirurgia dell’Apparato Digerente
Università Campus Bio-Medico di Roma
p.luffarelli@unicampus.it

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