martedì 9 luglio 2019

La dipendenza da videogame ufficialmente riconosciuta come malattia

Con il prossimo aggiornamento dell'International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (Icd-11) dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che entrerà in vigore ad inizio 2022, per la prima volta la dipendenza da videogiochi sarà riconosciuta ufficialmente come malattia.
È detto gaming disorder e, a livello patologico, è
definito dall’Oms come "una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti legati al gioco, sia online che offline, manifestati da: un mancato controllo, una sempre maggiore priorità data al gioco, al punto che questo diventa più importante delle attività quotidiane e degli interessi della vita; una continua escalation del gaming nonostante conseguenze negative personali, familiari, sociali, educazionali, occupazionali o in altre aree importanti". In particolare è ritenuto patologico quando il comportamento è riproposto per 12 mesi, ma se i sintomi sono gravi e ci sono tutti i requisiti diagnostici, la durata può anche essere inferiore.
Emilio Sacchetti, in Italia uno dei maggiori esperti sul tema, è presidente eletto dell'Accademia italiana di scienze delle dipendenze comportamentali (AISDiCo), associazione che si interessa di “tutte quelle forme di dipendenza che implicano un desiderio inarrestabile o una compulsione a impegnarsi in un comportamento premiante non connesso necessariamente all'uso di droghe o sostanze psicoattive”. La dipendenza da videogiochi rientra perfettamente in questa descrizione, così come il gioco d’azzardo (gambling), molto più conosciuto e studiato. Sacchetti spiega che “i due comportamenti si assomigliano e in alcuni casi sfociano nella patologia. Nel gioco d'azzardo si stima che questo accada nell'1-1,5% dei casi ed è presumibile che per i videogiochi la percentuale sia simile, anche se non esiste nessuna stima affidabile”.
Essendo il gaming disorder qualcosa di relativamente recente, non ci sono ancora linee guida o protocolli universalmente accettati, ma l'intervento più efficace è quello preventivo: “Attraverso l'educazione, occorre insegnare ai ragazzi ad adottare un approccio ragionato e non eccessivo al gioco; spesso il rischio è sottovalutato ma i gli adolescenti sono certamente la fascia d'età più esposta. Non abbiamo ancora studi su grandi numeri e i trattamenti sono generalmente di tipo psicoterapeutico, per lo più con un approccio cognitivo comportamentale”.

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