mercoledì 27 novembre 2013

IL TRATTAMENTO DELLA SINDROME DELLA VESCICA IPERATTIVA: UNA REVIEW

M.A. ZULLO e M. SCHIAVI*
Università Campus Biomedico di Roma, Dpt di Ginecologia
*Università La Sapienza di Roma, Dpt di Scienze Ginecologiche e Ostetriche e Scienze Urologiche


La sindrome della vescica iperattiva, (Overactive Bladder, OAB), è la combinazione di sintomi urinari complessi ed è definita come urgenza urinaria associata o meno a incontinenza urinaria da urgenza; usualmente accompagnata da aumentata frequenza minzionale e nicturia, in assenza di infezione delle vie urinarie o di altre patologie concomitanti (1).

La sindrome OAB colpisce più di 400 milioni di persone in tutto il mondo (2). La prevalenza è stimata tra il 12 e 17 % e un terzo delle pazienti presenta incontinenza urinaria da urgenza (3) (4). La prevalenza aumenta con l’età, interessando il 30-40% della popolazione con più di 75 anni (2). L’aumentata frequenza interminzionale è il sintomo più comune ( 85% ), seguito dall’urgenza minzionale (54%) e dall’ incontinenza urinaria da urgenza (36%). La sintomatologia della sindrome OAB si correla con contrazioni involontarie del muscolo detrusore durante la fase di riempimento del ciclo minzionale. Queste contrazioni involontarie sono definite iperattività del detrusore e sono provocate dalla stimolazione acetilcolina-indotta dei recettori muscarinici della vescica (5). È stato stimato che il 64% delle pazienti affette da OAB, ha una iperattività del muscolo detrusore diagnosticata mediante prove urodinamiche e che l’83% di queste, con iperattività del detrusore, presenta sintomi della sindrome OAB (6). Il trattamento delle pazienti con la sindrome OAB è complesso e le linee guida internazionali suggeriscono come opzioni terapeutiche di prima linea la modifica dello stile di vita, la rieducazione del pavimento pelvico, il bladder training ed i farmaci antimuscarinici.
Mentre un approccio conservativo è giustificato inizialmente, la terapia farmacologica è il trattamento principale nel management delle donne con la sindrome OAB. La più recente review (7), analizzando 6 differenti farmaci, dimostra, l’efficacia delle terapie con antimuscarinici nelle pazienti con la sindrome OAB. Questi farmaci, confrontati con il placebo, si sono dimostrati più efficaci, confermandosi come grado A nei livelli di raccomandazione per il trattamento delle donne con sindrome OAB. Tuttavia tutti i tipi di farmaci antimuscarinici causano effetti collaterali, tra i più frequenti secchezza delle fauci (30%) e stipsi (8%). Di conseguenza è stato dimostrato che la compliance con le preparazioni a rilascio immediato è bassa, infatti, solamente il 18 % delle pazienti sottoposte a tale terapia, continua ad assumerla dopo 6 mesi (8). La compliance non è migliorata neanche dopo l’introduzione di farmaci con azione a lento rilascio. Un recente studio retrospettivo sull’uso della terapia con farmaci antimuscarinici per almeno 12 mesi ha mostrato tassi di continuazione del trattamento compresi tra il 14 e il 35% con minime differenze tra i diversi farmaci (9). L’assunzione discontinua della terapia potrebbe essere causata degli effetti collaterali poco tollerati e dello scarso miglioramento dei sintomi. Un importante ruolo è stato attribuito ai recettori beta 3 adrenergici per la loro capacità di trattenere l’urina in vescica inducendo un rilassamento del muscolo detrusore (10). Mirabegron, un agonista dei recettori beta 3 adrenergici è stato testato per il trattamento dell’OAB, rappresentando una nuova classe di farmaci con efficacia provata e buona tollerabilità (11). Sono necessari però ulteriori studi a lungo termine per provarne la reale efficacia e sicurezza.
Quando le terapie conservative falliscono, dovrebbero essere presi in considerazione trattamenti alternativi. Sono disponibili nuove tecniche mininvasive come la stimolazione percutanea del nervo tibiale (PTNS), l’iniezione della tossina botulinica a livello del muscolo detrusore (BTX) e la neuromodulazione sacrale (SNM). La PTNS stimola le fibre afferenti del nervo tibiale posteriore (L4, S3) accessibili appena sopra la caviglia. Una recente metanalisi sull’efficacia della PTNS mostra che la percentuale di successo soggettivo è del 61,4% (95% CI 57,5-71,8) e che la percentuale di successo oggettivo è del 60,6% (95% CI 49,2-74,7) (12); ma le pazienti affette dalla sindrome OAB necessitano di una terapia di mantenimento per raggiungere un outcome positivo, con tutti i limiti di dover svolgere il trattamento presso una struttura attrezzata (13).
La BTX è una neurotossina derivata dal Clostridium Botulinum ed il suo effetto si basa sull’inibizione del rilascio di acetilcolina, adenosina trifosfato e sostanza P dall’urotelio. La BTX iniettata in più zone del muscolo detrusore per via cistoscopica, produce la paralisi della vescica riducendo di conseguenza i sintomi dell’OAB, ma la sua esatta funzionalità non è completamente conosciuta (14). Uno studio recente sulla tossina botulinica di tipo A (200 Unità), dimostrava che il 31 % delle pazienti con OAB era continente dopo 6 mesi dall’iniezione; erano però frequenti le infezioni delle vie urinarie (31%) e il ricorso ad autocateterismo (16%) (15). Inoltre l’effetto della BTX dovrebbe durare dai 3 ai 12 mesi e non esistono comunque evidenze per outcome a lungo termine. La SMN è stata approvata dalla Food and Drug Administration (FDA) nel 1997 e più di 160.000 pazienti hanno ricevuto questo trattamento (17). Attualmente la SMN è raccomandata per il trattamento della sindrome OAB resistente a farmaci (18). SMN prevede l'utilizzo di minimi impulsi elettrici che stimolano i nervi sacrali. Durante la fase di test di valutazione del nervo periferico (PNE) viene inserita, sotto anestesia locale, un ellettrocatetere temporaneo, vicino al nervo sacrale (di solito S3), che dà, intra-operatoriamente, la migliore risposta motoria e sensoria a livello del pavimento pelvico. La fase subcronica è di solito considerata ben riuscita quando si ottiene almeno il 50% di miglioramento dei sintomi. Le pazienti trattate con successo ricevono un impianto permanente, che consiste nell’inserimento di un elettrodo definitivo connesso a un generatore di impulsi impiantabile (“pacemaker vescicale”). Lo spostamento dell’elettrocatetere temporaneo (PNE test) ed il fallimento di questa tecnica ha portato allo sviluppo di una metodica di impianto a due fasi (19). Con questa tecnica un elettrocatetere autobloccante viene impiantato, in anestesia locale, connesso a uno screener esterno e lasciato in sede per 4-8 settimane. Se i sintomi della paziente migliorano almeno del 50% il generatore di impulsi permanente viene impiantato nel sottocutaneo, solitamente a livello della natica. Con l’introduzione della metodica con elettrocatetere autobloccante la percentuale di reintervento è diminuita (20).
Sono stati riportati in letteratura i risultati di sette trials randomizzati (21,22,23,24,25,26,27), tutti a favore della neuromodulazione sacrale. Quando è stata valutata la continenza completa, almeno il 50% delle pazienti impiantate erano continenti a 6 mesi al contrario dell’1,6% delle pazienti del gruppo di controllo, mentre un totale dell’87% mostrava un miglioramento di più del 50% per quanto riguarda il numero degli episodi di perdite urinarie, al contrario del 3% del gruppo di controllo (28).




TAB.1 Esito della neuromodulazione sacrale a 6 mesi in studi randomizzati


Weil (27), Schmidt (25) e Hassouna (24) hanno mostrato una diminuzione significativa del numero di episodi di perdite giornaliere e di pannoloni utilizzati dopo l’impianto nel gruppo stimolato rispetto al gruppo controllo. Nello studio di Weil (27) si riscontra, anche, un incremento della capacità vescicale, valutata mediante cistometria a 6 mesi dopo l’impianto nel gruppo stimolato rispetto al gruppo controllo.
Anche i risultati degli studi non controllati sono sovrapponibili a quelli randomizzati. In più di 40 studi non controllati circa il 39 % delle pazienti affette da incontinenza urinaria da urgenza, sono guariti dopo l’impianto e il 67% dei pazienti ha raggiunto il 50 % o più di miglioramento per quanto riguarda la sintomatologia urinaria (28). Inoltre, questi studi dimostrano che i benefici della neuromodulazione si mantengono anche 3-5 anni dopo l’impianto. Sono stati inoltre studiati la soddisfazione e la qualità di vita dopo SNM. Cappellano (29) ha mostrato un significativo miglioramento della qualità di vita nelle pazienti affette da incontinenza da urgenza sottoposte a SNM, infatti, il 90% dei soggetti fornisce risposte positive nei confronti del trattamento e il 100% dei pazienti lo consiglia a parenti o amici. Inoltre Foster (30) ha dimostrato che la maggioranza dei pazienti (84%) era soddisfatto del trattamento.
I dati riguardanti la persistenza del miglioramento clinico a lungo termine sono contrastanti. Uno studio randomizzato (31) evidenzia una riduzione dell’efficacia nel tempo: una simile percentuale di pazienti (46%) con incontinenza urinaria da urgenza resta continente a 6 mesi ed a 3 anni dopo la SNM, ma solo il 59% delle pazienti valutate dopo 3 anni mostra un miglioramento sintomi urinari > 50% rispetto all’87% delle stesse valutate dopo 6 mesi. Un altro trial multicentrico prospettico a 5 anni mostra, ancora una volta, un incremento del numero degli episodi di perdite e dei pannoloni utilizzati nei pazienti con incontinenza da urgenza e un aumento della frequenza minzionale e dell’urgenza associata ad un decremento del volume medio minzionale nelle pazienti continenti con sindrome OAB (32). Al contrario, uno studio prospettico con follow up a 5 anni (23) effettuato su 121 pazienti affette da sindrome OAB, mostra la persistenza del successo clinico a lungo termine, infatti, l’84% dei pazienti con incontinenza da urgenza e il 71 % dei pazienti con urgenza/ frequenza, che avevano raggiunto un successo clinico ad 1 anno dopo l’impianto, continuavano ad avere beneficio anche dopo 5 anni.
Gli effetti avversi riguardanti la SNM sono stati estesamente discussi in letteratura. Un recente studio riporta una percentuale di rimozione del 21% e di revisione chirurgica del 39% (33). Le complicanze più comunemente riportate (24) (27) (32) sono: il dolore nel sito di impianto (3-42%), la migrazione dell’elettrocatetere (1-21%), problemi legati alla ferita chirurgica (5-8%), disfunzioni intestinali (4-7%), infezioni (4-10%) e problematiche legate al generatore di impulsi (5%). La maggioranza di questi eventi avversi non richiede intervento chirurgico ma solo trattamento conservativo. L’introduzione della tecnica con elettrocatetere autobloccante e la procedura con solo 2 tempi ha ridotto gli eventi avversi e la percentuale di reintervento. In uno studio di follow up sono state riportate basse incidenze di dolore (2,5%), di migrazione dell’elettrocatetre (0,6%) e infezione (2,5%) (34) con queste condizioni di intervento. La revisione chirurgica era richiesta nel 16% delle pazienti, comprese quelle nelle quali l’efficacia era ridotta (10%) (34). La curva di apprendimento e la selezione accurata dei pazienti possono ridurre la percentuale di reintervento (32).
L’utilizzo della SNM può essere raccomandata per particolari popolazioni come quella gli anziani. Infatti, nel nostro studio (35) effettuato su 18 pazienti con età superiore a 65 anni, affette da sindrome OAB intrattabile, 15 donne hanno raggiunto una percentuale di successo pari all’83% dopo 12 mesi di follow- up. Tra tutte le donne, sottoposte a SNM, si calcola un miglioramento statisticamente significativo della qualità di vita. Non si sono verificate complicanze maggiori a lungo termine; ma solamente 2 complicanze minori in 2 pazienti (13,3%) che hanno lamentato dolore a livello del sito di impianto del generatore di impulsi, risolto, in entrambi i casi, dopo 3 mesi, con la sola terapia antinfiammatoria. Si può considerare la SNM una metodica alternativa per il trattamento della sindrome OAB in donne anziane ben selezionate.
Altri studi hanno comparato l’efficacia della SNM versus BTX mostrando dati contrastanti (15) (32). Noi abbiamo costruito un modello di analisi decisionale, che valuta l’efficacia e le complicanze riportate dalla letteratura internazionale e da casistica personale dopo 12 mesi di terapia (fig1) e la percentuale di successo della SNM è risultata superiore rispetto all’iniezione di BTX (rispettivamente 59% vs 48%, p < 0,05).

Fig. 1 Albero decisionale sui benefici clinici tra neuromodulazione sacrale e tossina botulinica
Pochi studi hanno esaminato il rapporto costo-efficacia della SNM. Siddiqui (36) calcola che la SNM è più dispendiosa ( $ 15743 vs $ 4392) ma è allo stesso tempo più efficace (1,73 vs 1,63 Quality adjusted life years- QUALYs) ripetto all’iniezione di BTX nei primi 2 anni di trattamento. Inlotre Leong (37) ha dimostrato che la SNM è più conveniente dopo 5 anni rispetto all’iniezione di BTX.
In conclusione si può affermare che le attuali evidenze scientifiche supportano l’efficacia della SNM a breve e a lungo termine nel trattamento della sindrome OAB intrattabile, anche per la bassa incidenza di eventi avversi che nella maggioranza dei casi non richiedono neanche un reintervento. Attualmente la SNM è considerata l’unico trattamento di II linea approvato per la sindrome OAB, ma sono necessari ancora altri studi per migliorare la selezione dei pazienti da sottoporre a tale metodica, per identificare più fattori prognostici e per spiegare la riduzione di efficacia nel tempo.



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