venerdì 21 ottobre 2011

La disfagia infantile

Se ne parla poco ed è spesso sottovalutata anche dagli stessi medici. Ecco come conoscerla meglio.


Conoscere la disfagia infantile.
Di cosa parliamo? Di una patologia, scarsamente considerata anche dagli stessi medici, per lo più poco conosciuta nella sua gravità in età pediatrica, ma che può influenzare negativamente le tappe dell’evoluzione psicomotoria.
Infatti manca una terapia eziologica in grado di guarire la patologia di base, predominano in alcuni casi problematiche medico-chirurgiche, in altri problematiche NPI, in altri ancora sono presenti entrambe ed infine ci possiamo trovare di fronte a sindromi genetiche con o senza anomalie cromosomiche, patologie del SNC, PCI, danni cerebrali perinatali o elevata prematurità con patologie associate.
La disabilità consiste in un deficit deglutitorio e/o masticatorio da incoordinazione, che dipende da un’alterazione delle
vie sensoriali e/o da un deficit della integrazione centrale e/o da un danno delle vie efferenti che determina una impossibilità od una difficoltà a succhiare, masticare e deglutire.
Essa è caratterizzata da una disfunzione nelle sequenze della fase orale (nel lattante riflessa, nel bambino automatica-volontaria); di quella faringea (automatica) e di quella esofagea (riflessa). Ne deriva incoordinazione motoria oro-faringea per disordini funzionali di svariati elementi del complesso oro-facciale e faringeo.
L’influenza negativa di tali sindromi sulle abilità orali, masticatorie e deglutitorie è ancor meno conosciuta dalla gente comune, cioè dai non addetti ai lavori (genitori, baby sitter e familiari care givers).
Stante la complessità delle problematiche ad essa connesse, è necessaria per questi bambini un’assistenza polidisciplinare ed una conoscenza più approfondita del problema, attraverso mass media dallo spessore scientifico e dalla larga diffusione come questa rivista.

Purtroppo, a parte alcuni studiosi in Italia come gli otoiatri Schindler, padre e figlio, Ruoppolo e Tufarelli, membri fondatori del GSIDI (Gruppo di studio italiano per la disfagia infantile), pochi colleghi si occupano di tale patologia trattata in pochissimi centri di riabilitazione con personale specializzato in quanto si tratta di patologie croniche complesse, spesso “rare” e di difficile diagnosi. Da qui liste di attesa lunghissime e la ricerca affannosa di centri specializzati, ma per fortuna abbiamo le preziose attività svolte dalle associazioni no profit tradizionalmente impegnate anche su questo fronte.

La disfagia può essere di lieve, media e severa gravità, e ad essa sono attribuiti, in particolare, 7 livelli di trattamento in base al tipo di alimentazione ed al momento della presa in carico. Il livello “1” riguarda problematiche più complesse (bambini con cannula tracheale o PEG, piccolo bottone inserito chirurgicamente nello stomaco per consentire l’alimentazione enterale), il “7” problemi più modesti.

Le patologie associate sono rappresentate da problemi respiratori cronici gravi con frequenti broncopolmoniti ab ingestis, crisi di apnea e cianosi con frequenti desaturazioni; MRGE, intolleranze alimentari (IPLV), ritardo psicomotorio, scarsa crescita pondero-staturale (quasi sempre inferiore al 3° percentile). Un terzo dei casi è portatore di cannula tracheale ed un altro terzo deve ricorrere alla PEG. Dunque si tratta del recupero di bambini con patologie genetiche o malformative rare e/o con esiti da TIN, per i quali non vi sono terapie specifiche né possibilità di guarigione dalla grave patologia di base.

Quali sono le cause?
Vediamo ora quali sono le più frequenti cause:
  1. problemi digestivi da deficit dello sfintere esofageo inferiore con Malattia da reflusso gastroesofageo, spesso complicata da esofagite (presente nel 67% dei bambini), atresia dell’esofago con interventi ricostruttivi, alterata peristalsi esofagea, ernia jatale, intolleranze alimentari, farmaci somministrati alla nascita;
  2. problemi respiratori:
    1) acuti con laringiti allergiche, epiglottiti, spasmi della glottide, flogosi faringolaringee, broncopolmoniti ab ingestis;
    2) cronici: con apnee ricorrenti, apnee notturne, asma bronchiale, BDP, tracheomalacia;
  3. patologie neurologiche del complesso orofacciale e disabilità su base genetica e cromosomica con dimorfismi facciali ed oligofrenia (tipici del Down); 
  4. danni neurologici in bambini con esiti da Terapia intensiva neonatale, con sindromi ipossico- ischemiche e post-asfittiche, emorragie cerebrali, PCI, epilessie, tumori cerebrali, ipertensione endocranica; 
  5. altre patologie come idronefrosi, insufficienza renale cronica, malattie metaboliche, patologie malformative congenite come labio-palatoschisi o danni iatrogeni (terapie farmacologiche); 
  6. disfagia “da non uso”, importante da ricordare perchè si tratta di bambini che per ricoveri prolungati a causa di patologie gravi, sono stati alimentati alternativamente e mai per via orale.
A questo punto devo segnalare il ruolo del pediatra nell’assistenza al bambino ed ai suoi familiari durante le sedute di DH riabilitativo, articolate in cicli di trattamento riabilitativo intensivo (giornaliero) o di mantenimento in base al progetto riabilitativo individuale redatto all’ingresso con la condivisione dei genitori. Integra come consulente, un team polispecialistico valutativo e riabilitativo delle disabilità deglutitorie infantili di vario grado (dalla difficoltà a gestire cibi in bolo solido a quella più grave, con necessità di una alimentazione alternativa) spesso associate a deficit cognitivi, verbali e comunicativi.

Egli, con le sue specifiche conoscenze auxologiche, nutrizionali e cliniche, integra l’equipe composta da specialisti ed operatori originati dalla disciplina ORL, valuta lo sviluppo psicofisico e lo stato nutrizionale del bambino, l’evolversi della disabilità e delle patologie associate, fornisce ai genitori sostegno, schemi dietetici e consigli terapeutici durante patologie intercorrenti, previene o tratta eventuali urgenze/emergenze (apnea, cianosi, desaturazioni, etc.); assiste i pazienti portatori di tracheotomia con cannula e/o di PEG (gastrostomia con impianto di una sonda percutanea e bottone, per via endoscopica) in collaborazione con l’ORL, collabora con Centri di riferimento, PDF ed operatori domiciliari, effettua monitoraggio dei progressi e valuta i risultati in collaborazione con il team; infine partecipa ai programmi di formazione per operatori socio-sanitari, genitori e care givers.

Quali sono gli obiettivi?
Gli obiettivi di un “servizio per la disfagia Infantile” sono così sintetizzabili:
  • integrare le strutture socio-sanitarie d’eccellenza, ospedaliere, universitarie e le IRCCS, con il centro specializzato, in un sistema di rete: patient manager di riferimento, specialisti ed operatori del centro di riabilitazione (“patient manager periferici”), pediatri di famiglia, genitori e care givers; 
  • definire i programmi assistenziali mediante negoziazione e condivisione delle scelte con i familiari e con i servizi ospedalieri, universitari e territoriali; 
  • ridurre accessi e ricoveri ripetuti in ospedale. 
  • assicurare l’assistenza riabilitativa previa valutazione multidisciplinare della disabilità; 
  • migliorare l’alimentazione e quindi lo stato di salute e la qualità di vita del bambino anche mediante un adeguato sostegno ai genitori; 
  • porre le basi per una vita del bambino, il più autonoma possibile, rispetto all’alimentazione; 
  • offrire opportunità di “formazione” per operatori socio-sanitari e genitori/assistenti domiciliari.
Il modello operativo prevede la presenza di un’equipe medica polidisciplinare con logopedisti, fisioterapisti e terapisti della psicomotricità. Tre fasi sono previste: la 1° prevede la valutazione globale all’ingresso e gli esami diagnostici strumentali come la fibroscopia endoscopica transnasale, effettuazione di test di deglutizione con alimenti di varia consistenza, tracciati con blu di metilene e videofluoroscopia: esame dinamico della deglutizione registrato con apparato digitale, con alimenti intrisi di bario, che permette una valutazione dinamica dell’atto deglutitorio nelle varie fasi, in grado inoltre acquisire preziose indicazioni ai fini riabilitativi. La 2° (riabilitazione) prevede: a) terapia logopedica (oral motor training, stimolazione sensoriale oro-facciale, terapia regolatoria oro-facciale, terapia miofunzionale, addestramento al pasto, svezzamento da alimentazione per sonda o PEG e/o da cannula tracheale, counselling prescrittivo al genitore per la gestione del bambino); b) terapia neuro e psicomotoria con esposizione alle esperienze sensoriali necessarie per sviluppare un corretto atteggiamento psicomotorio durante il mealtime, lavoro sui fasci muscolari con tono anomalo che ostacolano la funzione deglutitoria, lavoro sulla forza, sul tono e sulla resistenza della muscolatura del tronco e del cingolo scapolare per una corretta postura in allineamento, del capo, del tronco e del bacino durante l’alimentazione, scelta e adozione di posture idonee ad una corretta alimentazione, scelta dei sistemi di postura idonei. La 3° (completamento ciclo) prevede la valutazione finale logopedica (con somministrazione del pasto e nuova classificazione del livello disfagico raggiunto), FKT neuromotoria e psicomotoria/occupazionale.

Si precisa che il trattamento riabilitativo è di esclusiva competenza dei logopedisti che gestiscono in prima persona i casi, provvedendo a dare indicazioni, consigli agli altri operatori, ai genitori, ai parenti ed ai care givers.

Il messaggio che desidero lasciare è di inviare i bambini con disturbi oro-motori precocemente ad un centro specializzato perché il trattamento polidisciplinare, individualizzato, deve essere iniziato tempestivamente, a partire dalla valutazione del grado e della tipologia di disfagia, eventualmente integrato con sedute domiciliari logopediche e fisioterapiche.

Di Lucio Annibaldi (consulente Ist. San Raffaele, Servizio riabilitativo per la disfagia infantile)

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