L’infezione da HPV colpisce oltre il 75% delle donne. Nonostante la prevenzione sono 3500 i nuovi casi di tumore cervico-carcinoma ogni anno. Un importante aiuto arriva dal vaccino.
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Vaccinazione anti HPV. |
L’agente causale del carcinoma del collo uterino è stato identificato nel Papilloma Virus Umano (HPV), un virus a DNA in grado di trasformare le cellule entrando nel meccanismo di controllo della replicazione cellulare; la sua trasmissione avviene prevalentemente per via sessuale o tramite contatto pelle-a-pelle.
L’ipotesi di una correlazione tra infezione genitale da Papillomavirus umano (HPV) e carcinoma cervicale è stata formulata per la
prima volta agli inizi degli anni ‘80 dal virologo tedesco Harold zun Hausen e confermata da numerosi Autori nel corso degli anni successivi. Grazie all’introduzione di tecniche di biologia molecolare, si è dimostrata la presenza dell’HPV nella quasi totalità dei carcinomi del collo uterino. A tutt’oggi, sono stati identificati più di 100 genotipi di HPV che infettano l’uomo e, tra questi, circa un terzo è associato a patologie del tratto anogenitale, sia benigne che maligne. E’ infatti noto il coinvolgimento dell’HPV nella genesi, oltre che del cancro della cervice uterina, anche del carcinoma di vagina, vulva, ano, pene, scroto, uretra, nonché dei condilomi, piani e/o acuminati (cosiddette verruche genitali) cervicali, vulvo-perineali e penieni.
I diversi tipi di HPV vengono distinti in “a basso” e “ad alto” rischio di trasformazione neoplastica. Tale differenziazione si basa sul fatto che la capacità oncogena, ovvero trasformante, del virus è limitata solo all’infezione persistente dei sottotipi ad alto rischio, gli unici in grado di integrare il proprio genoma (ovvero, codice genetico) in quello della cellula ospite, interagendo con i delicati meccanismi della replicazione cellulare. I genotipi virali ad alto rischio più frequentemente implicati nel carcinoma cervicale, sono circa una quindicina, di cui: nel 70% dei casi, i sierotipi 16 (50%) e 18 (20%); i restanti ceppi (31,33,35,39,45,51,52,56,58 ,59,68,73,82…) sono coinvolti nel rimanente 30% delle neoplasie.
L’infezione da HPV è molto frequente nella popolazione femminile; si stima che oltre il 75% delle donne sessualmente attive si infetti nel corso della vita, con un picco massimo poco prima dei 25 anni di età. La maggior parte delle infezioni è però transitoria, poiché il virus viene eliminato dal sistema immunitario entro i 12-24 mesi. In una minore percentuale dei casi però, l’infezione virale può persistere ed evolvere verso lesioni precancerose (lesioni displastiche) fino ad arrivare allo stadio di carcinoma invasivo, attraverso un processo a step successivi che, per compiersi, può richiedere diversi anni. Ciò spiega perché l’incidenza del carcinoma della cervice aumenti dalla quarta decade di vita e non sia frequente nelle donne più giovani, tra le quali invece prevale l’infezione da HPV. Esistono, inoltre, una serie di cofattori che possono influenzare la storia naturale dell’infezione virale, portando ad un aumento del rischio di sviluppare lesioni displastiche nelle donne HPV positive. Tra i più studiati: la contemporanea infezione con altri agenti sessualmente trasmessi (Chlamydia t, Neisseria g, HSV), il fumo di sigaretta, l’uso prolungato di contraccettivi orali (> di 5 anni), l’elevato numero di gravidanze (> di 7) e infine anche condizioni di ipovitaminosi.
Fino ad oggi, la prevenzione di questo tumore si è basata sull’adozione di comportamenti sessuali prudenti (uso del preservativo con persone a rischio o poco conosciute) e nell’effettuazione di campagne periodiche di screening tramite Pap Test (Test di Papanicolau). Tuttavia, nonostante le conoscenze acquisite nel corso degli anni sulla storia naturale della malattia e la straordinaria possibilità di prevenzione grazie ai programmi di screening (pap-test) che consentono di identificare precocemente le lesioni precancerose e di intervenire prima che queste evolvano in neoplasia invasiva, ogni anno in Italia si registrano ancora circa 3500 nuovi casi di cervico-carcinona e oltre 1500 decessi causati dalla neoplasia.
Pertanto, nel tentativo di ridurre l’incidenza dell’infezione virale e, conseguentemente, l’incidenza della neoplasia, negli ultimi anni è stata proposta una strategia di prevenzione primaria attraverso la realizzazione di un vaccino anti HPV.
Sono stati messi a punto due prodotti:
un vaccino bivalente, solo per HPV 16 e 18 (ovvero, i 2 sierotipi HPV ad alto rischio responsabili del 70% dei casi di cervicocarcinoma)( Cervarix™ prodotto da GlaxoSmithKline, Inc.), e un vaccino tetravalente, sempre per HPV 16 e 18 (i 2 sierotipi HPV ad alto rischio responsabili del 70% dei casi di cervico-carcinoma)e anche per HPV 6 e 11 (implicati nella genesi dei condilomi) (Gardasil® sviluppato da Merck & Co., Inc.).
Entrambi i vaccini vengono somministrati in 3 dosi (a 0, 1 e 6 mesi e 0, 2, e 6 mesi rispettivamente). Entrambi i vaccini agiscono mimando la struttura del virus. Essi, cioè, non contengono l’informazione genetica virale ma, essendo fatti come il guscio esterno del virus, provocano una forte risposta immunitaria da parte dell’organismo, realizzando così l’immunizzazione. Lo sviluppo clinico del vaccino anti-HPV ha coinvolto ben 33 paesi del mondo, tra cui l’Italia, con un campione totale di oltre 20.000 donne.
I risultati degli studi effettuati, condotti prima sugli animali e poi sull’uomo, hanno evidenziato, da un lato, la sicurezza e l’innocuità e, dall’altro, l’efficacia clinica del vaccino anti-HPV.
Le donne vaccinate, rispetto alle non vaccinate, hanno mostrato a 5 anni dalla vaccinazione, una riduzione delle lesioni displastiche (precancerose) di oltre il 90%.
Resta tuttavia da precisare che:
1) La protezione fornita dai vaccini è incompleta. Esistono all’incirca 15 tipi di virus HPV ad alto rischio che possono causare il cancro del collo dell’utero. Gardasil e Cervarix sono stati messi a punto per proteggere solo da due tipi di virus ad alto rischio (il 16 e il 18), responsabili del 70 percento di tutti i tumori del collo dell’utero. Il vaccino non è in grado di proteggere dagli altri tipi virali di HPV “ad alto rischio”, che causano il restante 30 percento dei tumori del collo dell’utero.
2) I vaccini non possono proteggere tutti.
L’HPV viene trasmesso per via sessuale o contatto intimo pelle contro pelle. Pertanto, per essere completamente efficace, il vaccino deve essere somministrato alle giovani donne prima che diventino sessualmente attive. In altre parole, il periodo ideale per la vaccinazione è l’adolescenza.
La FDA (Food and Drug Administration) ha approvato la somministrazione di Gardasil e Cervarix nelle giovani donne di età compresa tra i 9 e i 26 anni. In Italia, la vaccinazione è offerta gratuitamente solo alle ragazze nel dodicesimo anno di vita perché tutti gli studi condotti dicono che questa è l’età in cui maggiori possono esserne gli effetti positivi; pur tuttavia, è raccomandabile la sua somministrazione in tutte le ragazze nella fase adolescenziale.
Il vaccino non è terapeutico e non ha alcun effetto se è già in corso un’infezione da HPV. Di qui la scelta di privilegiare soggetti giovani che non hanno ancora contratto l’infezione.
Oggi, pertanto, la disponibilità di vaccini anti-HPV sembra costituire certamente una grande opportunità di prevenzione del carcinoma della cervice uterina.
Tuttavia, per i limiti su esposti, lo screening tramite pap-test annuale rimane comunque uno strumento essenziale e insostituibile nella lotta contro il tumore del collo uterino, cui tutte le donne devono sottoporsi, comprese quante siano state sottoposte precedentemente a vaccinazione anti-HPV.
Di Francesca Vacca
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