lunedì 16 gennaio 2012

Parto: la scelta della posizione

La maggior parte delle culture nel mondo ha usato, o usa tuttora, posizioni diverse per il travaglio e il parto.


Un’analisi storica dell’evoluzione delle posizioni materne durante il parto rivela che le posizioni supina (o litotomica, così chiamata perché usata in chirurgia per gli interventi di rimozione di calcoli dalla vescica urinaria) e semidistesa sono innovazioni che coincidono con la medicalizzazione della nascita. La maggior parte delle culture nel mondo ha usato, o usa tuttora, per il travaglio e il parto, posizioni diverse: eretta, seduta, accovacciata, inginocchiata.
Nel Medioevo e fino al termine del Cinquecento, in Europa le levatrici assistevano partorienti accovacciate o sedute su particolari sgabelli a forma di ferro di cavallo (il più antico modello di questa “sedia da parto” risale alla cultura babilonese, 2000 a.C.). Le donne più ricche venivano assistite in posizione eretta o seduta, circondate da ampi cuscini. Era pratica comune per le donne camminare durante il travaglio e continuare a lavorare in casa o nei campi spesso fino all’inizio del periodo espulsivo. Nel 1598 il barbiere-chirurgo Guiliemeau introdusse il
“letto per il parto” allo scopo di facilitare il travaglio e fornire maggiore comodità alla donna nei travagli difficili o con gravi complicazioni. Cinquant’anni dopo, l’uso del letto e la posizione supina erano diventati la pratica comune sia per i parti normali che per quelli difficili. Dalla fine del XVII secolo, il travaglio e il parto a letto divennero usanza comune tranne che nelle campagne. La posizione litotomica fu introdotta definitivamente in ostetricia da alcuni urologi fra la seconda metà del Settecento e gli inizi dell’Ottocento. La posizione orizzontale si sostituisce a quella verticale per consentire all’esperto di intervenire sul perineo. L’impiego del forcipe, il ricorso all’anestesia e l’ospedalizzazione generalizzata (con tutti i rituali della clinica che ne sono parte costitutiva) consolidano e sanzionano definitivamente l’adozione della posizione supina. La posizione litotomica offrirebbe come vantaggi:
  • la facilità di accesso al perineo;
  • la facilità a mantenere la zona perineale in condizioni asettiche; 
  • la facilità di manovre di assistenza (l’ascolto del battito cardiaco fetale, eventuali interventi ostetrici).
Si tratta effettivamente di vantaggi per l’operatore che però non prendono in considerazione l’interesse della donna che partorisce.

La posizione litotomica, proprio per la “facilità di accesso” che concede, ha piuttosto contribuito negli scorsi decenni a un inutile e dannoso incremento degli interventi sul perineo della partoriente, ed in particolare a un’impennata nell’uso dell’episiotomia. Poche, invece, sono le situazioni in cui effettivamente è necessario porre la donna in posizione litotomica per un intervento ostetrico a tutela della salute della madre e del bambino. Nelle situazioni di travaglio/parto fisiologici (e sono la maggior parte) non sono necessarie né la sterilità della zona né la protezione del perineo offerte da questo tipo di posizione. Cadono quindi la motivazioni con le quali, per secoli, si è costretto le donne a partorire in posizione obbligata.
Lasciate libere nella scelta, le donne in travaglio usano molto spesso posizioni verticali. Camminano, cambiano frequentemente posizione alla ricerca di una sintonia (intesa come “non opposizione”) tra il ritmo interno della contrazione e la postura del corpo. Al dolore lombo-sacrale la donna risponde abbandonando il letto e scegliendo posizioni che allontanino la compressione dell’utero sulla colonna vertebrale, come la posizione carponi, quella in ginocchio, accovacciata, con inclinazione anteriore, o semplicemente si appoggia a un piano o al proprio compagno. La stessa posizione che ad alcune donne dà grande sollievo, per altre può essere del tutto inadeguata. Durante il periodo espulsivo, in assenza di indicazioni direttive, spesso le donne spingono in posizioni verticali, soprattutto accovacciate, carponi, in piedi; talvolta scelgono posizioni asimmetriche che all’osservatore possono apparire strane e molto scomode.
Il nodo centrale di una diversa pratica ostetrica, maggiormente attenta ai bisogni della donna e della coppia, è rappresentato da una sostanziale modifica dell’atteggiamento degli operatori.
Accanto alla richiesta di sicurezza, molte altre domande vengono oggi poste dalle donne e dalle coppie che attendono un figlio. Prima su tutte, quella di rispetto per le componenti emozionali della nascita. L’unica risposta credibile a questa domanda consiste nella riduzione dell’interferenza medica non necessaria nella gravidanza e nel travaglio fisiologici.
Consentire e favorire la scelta di posizioni diverse da quella supina durante il travaglio e il parto può essere una tappa importante di questo percorso, a condizione che non divenga una nuova imprescindibile regola che l’istituzione impone per partorire meglio. L’operatore che segue la donna in travaglio può condizionarne e dirigerne le scelte, a volte con modi sottili e nascosti, offerti come forme di aiuto che tuttavia ricollocano l’espressione della donna nella direzione più utile a chi in quel momento l’assiste. Proprio per questi motivi l’uso di strumenti nuovi per il parto, come sedie e sgabelli ostetrici oggi molto diffusi in ambienti alternativi, o che si propongono come tali, non rappresenta di per sé un ampliamento delle possibilità offerte alla donna. Secondo l’uso che se ne fa, infatti, potrebbe rappresentare la proposizione di un nuovo modello, non diverso dai precedenti se rigido, direttivo e obbligato.

In collaborazione con Giunti

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