Il ruolo delle infezioni nel parto pretermine. I fattori di rischio. Consigli da seguire.
Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e la FIGO (Federazione Internazionale di Ginecologia ed Ostetricia) si definisce Pretermine il parto che avviene prima della 37° settimana di gravidanza (oppure prima di 259 giorni), indipendentemente dal peso del neonato. Tale definizione deriva da un’analisi statistica della distribuzione delle età gestazionali alla nascita, calcolate a partire dal primo giorno dell’ultima mestruazione.
Tuttavia, invece, non è possibile stabilire il limite inferiore dell’epoca gestazionale che definisce il parto pretermine (PP), per il continuo miglioramento della sopravvivenza dei nati di peso ed epoca gestazionale molto bassa. Ad ogni modo le gravidanze che si interrompono prima della 20° settimana di gestazione sono
tradizionalmente definite come aborto spontaneo mentre quelle che terminano dopo la 20° si definiscono come parto pretermine: la 20° e la 37° settimana completa definiscono, quindi, i limiti temporali del parto pretermine. In relazione all’epoca gestazionale in cui si esplica, il parto si distingue in:
- moderatamente pretermine (mild preterm) tra 32 e 36 settimane di gestazione (85% dei parto pretermine), che a sua volta può essere suddiviso in pretermine di 34 e 37 e pretermine di 32 e 33 settimane. Sebbene l’outcome neonatale immediato abbia raggiunto risultati incoraggianti, questo ultimo gruppo ha contribuito in maniera significativa ad aumentare la mortalità nel periodo post-natale e fino ad 1 anno di vita per le complicanze correlate ad asfissia, infezioni, morte improvvisa;
- molto pretermine (very preterm) tra 28 e 31 settimane di gestazione (10% dei parto pretermine). La sopravvivenza immediata è legata ad una significativa percentuale di morbilità a breve e lungo termine;
- estremamente pretermine (extremely preterm) prima della 28° settimana di gestazione (5% dei parto pretermine). La mortalità neonatale è alta con oltre il 50% di sequele severe per i sopravvissuti nati prima delle 26° settimane.
E’ sicuramente la patologia della gravidanza caratterizzata dalla maggiore disomogeneità nei comportamenti preventivi, incertezza nei criteri di diagnosi, estrema variabilità nei protocolli terapeutici. Allo stato attuale delle conoscenze l’ipotesi unitaria del parto pretermine può essere identificata in quella che viene definita intrauterine inflammatory response sindrome.
Epidemiologia
L’incidenza del parto pretermine è rimasta stabile negli ultimi 30 anni, attestandosi tra il 6 e il 15% di tutti i parti, con una frequenza specifica che aumenta con il procedere dell’epoca gestazionale. Inversamente proporzionale è invece il rischio di mortalità neonatale, rimanendo molto elevato fino alla 27° settimana, decrescendo gradualmente dalla 28° alla 34° settimana, per quindi diminuire bruscamente e divenire paragonabile a quello della popolazione dei nati a termine.Grazie all’evoluzione delle metodiche di rianimazione neonatale il tasso di mortalità da parto pretermine si è notevolmente ridotto negli ultimi anni. I dati provenienti dagli USA dicono che siamo passati da 13,1/1.000 nati vivi a 6,1/1.000 nati vivi nella popolazione bianca, e da 22,8/1.000 a 12,1/1.000 nella popolazione nera. Inoltre, in letteratura viene riportata una mortalità neonatale dell’ordine del 97/1.000 quando il parto pretermine insorge spontaneamente e del 27/1000 quando indotto elettivamente. Tali percentuali sono comunque condizionate dalle diverse patologie che si sovrappongono all’immaturità diffusa dei vari organi e apparati fetali. Nella specifica cornice del parto pretermine riveste notevole importanza la sopravvivenza neonatale superato il primo periodo cruciale di vita fetale. Prima della 28° settimana di gravidanza, l’epoca gestazionale riveste un ruolo fondamentale nel determinare sia la sopravvivenza che l’incidenza di sequele neurologiche a breve e lungo termine. A partire da tale termine il peso alla nascita acquista un rilievo crescente, dal momento che rappresenta il principale fattore condizionante la probabilità di sopravvivenza, che dunque raggiunge circa il 90%.
Patogenesi
L’etiopatogenesi del parto pretermine è di tipo multifattoriale, dal momento che vari fattori, di origine sia materna che fetale, fra loro variamente combinati convergono in varia misura nel determinare l’insorgenza di tale patologia.Numerosi sono i potenziali mediatori indagati negli ultimi anni, i quali sarebbero prodotti dai tessuti intrauterini e su questi agirebbero nello scatenare precocemente il travaglio di parto. Infatti, l’equilibrio tra fattori miorilassanti e fattori uterotonici gioca un ruolo importantissimo nella regolazione dell’attività contrattile del miometrio durante la gravidanza.
Nella maggioranza dei casi il parto pretermine si associa a rottura prematura delle membrane (PROM) e/o ad un evento infettivo cervico-vaginale o endouterino, in associazione con un’insufficienza cervico-segmentaria. Altre cause ricorrenti sono l’emorragia placentare ed i disordini ipertensivi indotti dalla gravidanza. Tra le cause di parto pretermine vanno considerate anche altre condizioni patologiche, sia materne che fetali, così come varie complicazioni della gravidanza che, isolatamente e/o in associazione confluiscono nel determinare una o più delle seguenti condizioni:
- infezione deciduale e corion-amniotica;
- stress materno e fetale;
- ipossia utero-placentare;
- focolai di emorragia deciduale fino al distacco di placenta normalmente inserita o al distacco di placenta previa.
Le citochine proinfiammatorie favoriscono inoltre l’espressione di enzimi proteolitici da parte dei medesimi tessuti (decidua e corion), quali le proteasi attive sul collagene (collagenasi), e la produzione di IL-8 che a sua volta determina il richiamo di granulociti neutrofili (azione chemiotattica). Quest’ultimi immettono nell’ambiente circostante un altro potente enzima proteolitico sulla matrice extracellulare, l’elastasi. Collagenasi ed elastasi da un lato potenziano l’azione delle PGs nell’indurre la tipica trasformazione strutturale del collo uterino che consente il parto (maturazione cervicale), dall’altro facilitano la separazione del corion dalla decidua, infine disgregano l’architettura delle membrane amniocoriali favorendone la spontanea rottura.
Escludendo il 30% di parto pretermine che riconoscono come primum movens un processo infettivo associato ad una PROM, rimane ancora poco chiara la porta di accesso e di invasione del liquido amniotico da parte dell’endotossine batteriche in presenza di membrane amniotiche integre. Probabilmente il modello precedentemente descritto non prevede necessariamente la colonizzazione del liquido amniotico da parte di agenti infettivi, ma una produzione di citochine attivata localmente.
L’ipersollecitazione materna e fetale (stress materno e fetale) ha come conseguenza l’immissione in circolo di ormoni della reazione allo stress quali: cortisolo, catecolamine, vasopressina, ossitocina ed ormone del rilascio della catecolamina (CRH). Il CRH è un peptide prodotto non solo dall’ipotalamo ma anche dal corion, dall’amnios e dalla decidua. Se è vero che il cortisolo inibisce la produzione ipotalamica di CRH, questo stesso steroide, invece, la potenzia a livello periferico (membrane amnio-coriali e decidua). A sua volta il CRH non solo stimola un’aumentata secrezione di cortisolo fetale (che accelera la maturazione di molti tessuti fetali ed in particolare del polmone fetale) ma anche promuove la produzione locale di PGs. Poiché le PGs, come il cortisolo, stimolano la produzione locale di CRH, è logico presumere che si formi un circolo funzionale di autopotenziamento a livello delle cellule corion-amnio-deciduali fra CRH da un lato e cortisolo e PGs dall’altro. Questo circolo di autopotenziamento verrebbe poi ulteriormente rafforzato dall’azione di noradrenalina e vasopressina, che anch’esse favoriscono la produzione di CRH da parte delle cellule corion-amnio-deciduali. Anche l’angiotensina II agirebbe nel medesimo senso.
Le concentrazioni materne di CRH sono talmente elevate nel parto pretermine che vari studi hanno valutato la possibilità di utilizzare tale neurormone come marker predittivo della patologia. Nello specifico, concentrazioni materne elevate di CRH durante il secondo trimestre di gravidanza, sembrano essere associate ad un rischio quattro volte maggiore di parto pretermine.
L’ipossia utero-placentare è tra i fattori più recentemente correlati all’insorgenza di parto pretermine. Infatti, si è osservato che il parto pretermine ha una incidenza maggiore in presenza di feti piccoli per età gestazionale, caratterizzati da importanti alterazioni flussimetriche e da riduzione della perfusione uteroplacentare. L’ischemia utero-placentare da un lato stimola la produzione locale di PGs, dall’altro porta ad una condizione di stress materno e soprattutto fetale, quindi ad aumentata produzione di CRH col meccanismo descritto sopra. L’ipossia locale è stata proposta come fattore scatenante il parto pretermine anche nei feti grandi per epoca gestazionale. Le proporzioni fetali sarebbero in grado di determinare una sovradistensione del miometrio con associata ipossia locale che promuove la secrezione placentare di sostanze uterotoniche e la trascrizione miometriale di proteine coinvolte nell’attivazione della contrattilità uterina.
Le emorragie deciduali possono causare condizioni di stress fetale e di ischemia placentare e così attivare i meccanismi a cui si è accennato. Inoltre possono promuovere un reclutamento di macrofagi con aumentata dismissione locale di citochine proinfiammatorie ed attivare direttamente sia le proteasi deciduali sia la produzione locale di PGs.
Fattori di rischio
Circa i tre quarti dei PP iniziano spontaneamente in circostanze indesiderate, spesso preceduti da un episodio di minaccia di parto pretermine (MPP). Studi epidemiologici hanno identificato numerosi fattori di rischio, sebbene circa il 50% dei PP si verifichi in assenza di condizioni predisponesti e fattori di rischio identificabili. Per di più, molti di questi fattori hanno prevalenza notevole in tutte le popolazioni mostrando un basso valore predittivo positivo, sebbene statisticamente significativo.Di Giovanna di Febbo
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